25 gennaio 2021

CHE COS'E' LA BESTEMMIA IMPERDONABILE?

 

bestemmia contro spirito santo imperdonabile


Per bestemmia, il Dizionario Garzanti della Lingua Italiana riporta:

“Espressione ingiuriosa contro la divinità o ciò che è sacro”.
Dal latino “Blasphemìa”, prob. per influsso di “bestia”.

Ma è davvero questo il senso che ne danno le Scritture?
 

Peccato perdonabile e imperdonabile

1Giovanni 5:16 – Se qualcuno vede un suo amico commettere un peccato che non conduca a morte, preghi, ed Eloah gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono un peccato che non conduca a morte. Vi è un peccato che conduce a morte; non è per quello che dico di pregare”.

Impariamo qui che esistono due diverse tipologie di peccati: Un peccato per cui è buona cosa pregare, perché il Padre certamente aiuterà ad uscirne sia noi che chi ci sta vicino, ed un altro che invece è una vera e propria “condanna”, cioè è talmente grave da non poter più essere coperto con il sacrificio del Messiah.
 

Le Scritture definiscono peccato non perdonabile la “Bestemmia contro lo spirito santo”

Matteo 12:31-32 - «Perciò io vi dico: ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo spirito non sarà perdonata.  A chiunque parli contro il Figlio dell'uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo spirito santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello futuro.

La bestemmia contro il Padre non è la semplice imprecazione a parole, ma è qualcosa di molto più profondo e radicato in noi. E’ una ribellione interiore da cui non c’è più via d’uscita, allo stesso modo in cui avvenne con gli angeli decaduti che scelsero una volta per tutte di schierarsi contro il Padre Onnipotente.
 

Cosa significa “bestemmiare contro lo spirito santo”?

Ebrei 10:26-29 – “Infatti, se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati; ma una terribile attesa del giudizio e l'ardore di un fuoco che divorerà i ribelli. Chi trasgredisce la legge di Mosè viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quale peggior castigo, a vostro parere, sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il Figlio di Eloah e avrà considerato profano il sangue del patto con il quale è stato santificato e avrà disprezzato lo spirito della grazia?”

Chi getta discredito sul sacrificio del Messiah, approfittandosene della meravigliosa misericordia che il Padre ci ha fatto e continua a PECCARE CONSAPEVOLMENTE, non può più ricevere l’azione dello spirito nella sua vita. Non può più sperare di ricevere il perdono dei peccati e quindi la vita eterna, perché è divenuto perfettamente ribelle e ha fatto della misericordia una “scusa per condotta dissoluta”.

2Pietro 2:20-22 – “Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Yahushua il Messyah, si lasciano di nuovo avviluppare in quelle e vincere, la loro condizione ultima diventa peggiore della prima. Perché sarebbe stato meglio per loro non aver conosciuto la via della giustizia, che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato dato loro. È avvenuto di loro quel che dice con verità il proverbio: «Il cane è tornato al suo vomito», e: «La scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango»”.

Paolo utilizza questa forte immagine per farci comprendere che tipo di spirito alimenta coloro che, pur avendo compreso la verità e partecipato alla salvezza, la gettano via condannandosi da soli.

Ebrei 6:4-6 – “Infatti quelli che sono caduti di nuovo nel male, non possono più cambiare vita ed essere rinnovati ancora una volta. Già una volta hanno avuto la luce di Eloah, hanno provato il dono celeste, hanno ricevuto lo spirito santo, hanno gustato la buona parola di Eloah e le potenze del mondo futuro, e poi sono caduti, è impossibile ricondurli di nuovo al ravvedimento perché inchiodano nuovamente al legno, per conto loro, il Figlio di Eloah e lo espongono a infamia”.

Stiamo vivendo una vita di menzogna o siamo autentici figli del Padre?
Stiamo rispettando i Suoi comandamenti, che ci ha dato per il nostro bene?
1Giovanni 2:3-4 – “Da questo sappiamo che l'abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Io l'ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui.

Occhi aperti

Sicuramente noi stessi ci giudichiamo "bravi e buoni", figuriamoci ribelli! Ma siamo davvero sicuri che non stiamo rischiando di bestemmiare contro l’Onnipotente? Cosa stiamo facendo attivamente per gli altri, affinchè dimostriamo di aver compreso il grande dono di salvezza che ci ha dato il Padre mediante Yahushua?  
 

Non si dimostra con le parole, professandosi “credenti”, ma con i fatti! Chi veramente crede, veramente opera.

Bisogna “chiacchierare di meno e fare di più”, perché, come il Messyah si è sacrificato per noi, allo stesso modo la nostra vita, il nostro tempo e tutte le grandi capacità che il Padre ci ha dato, dobbiamo donarle agli altri, soprattutto a coloro che ne hanno bisogno. 
Se noi ameremo veramente, saremo veramente in Lui.

Galati 5:14 – “Poiché tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»”.

Se abbiamo ricevuto il dono della vita eterna e dello spirito, dobbiamo vivere e operare secondo lo spirito e la giusta volontà del Padre, altrimenti ci verrà tolto e verrà dato a qualcun altro di più degno (Luca 19:12-27). Chi si ribella alla volontà di Eloah e ritorna alla pratica di ciò che è male, bestemmia contro lo spirito santo e si giudica da solo.

1Giovanni 2:5-6 – “Ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Eloah è veramente completo. Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di rimanere in lui, deve camminare com'egli camminò”.

Ebrei 10:38 – “Ma il mio giusto per fede vivrà; e se si tira indietro, l'anima mia non lo gradisce»”.

Non tiriamoci indietro come i codardi, ma senza alcun timore procediamo decisi per la via del Messyah!





16 gennaio 2021

IL TERMINE CRISTIANI E' STATO INVENTATO DAI PAGANI

 




L'USO DELLA PAROLA CRISTIANO DOVE HA ORIGINE?


I discepoli di Yahshua, coloro che credono in lui, possono chiamarsi “cristiani”? Uno studio accurato mostrerà che non è un nome appropriato, tanto quanto non sarebbe corretto chiamarsi “gesuani”. Esaminiamo. In tutta la Bibbia la parola “cristiano” compare solo tre volte. Non è quindi difficile esaminare questi tre passi e dedurre da essi il senso della parola.

   1. “Ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani” (At 11:26). Per stessa dichiarazione della Scrittura, fu questa la prima volta che il nome venne dato ai discepoli di Yahushua. L’avvenimento è collocabile a metà degli anni 40 del primo secolo della nostra èra, ovvero più di dieci anni dopo la morte di Yahushua. Ciò accadde ad Antiochia, in Siria, fuori da Israele, in una nazione pagana. Luca, lo scrittore di Atti, dice che “i discepoli furono chiamati cristiani”. Già qui possiamo notare due aspetti: a) Luca li chiama “discepoli”; b) Luca dice che non furono i discepoli a darsi quel nome di “cristiani”, ma che essi “furono chiamati” così. Il nome che Luca usa per loro è quindi “discepoli”. Ma da chi “furono chiamati cristiani”? Evidentemente da gente di Antiochia che non apparteneva alla congregazione dei discepoli. In tal modo, quella gente affibbiava loro un epìteto. Dato che “cristo” significa – come si è visto – “unto”, era come definirli “untuani” o “messianisti”. Accade anche oggi che vengano affibbiati dei nomi con un che di denigratorio, come ad esempio quando si definiscono “russelliti” gli Studenti Biblici che furono guidati da C. T. Russel; oppure quando si definiscono “geovisti” i Testimoni di Geova. O, ancora, quando si definiscono “papisti” i cattolici. Quel nome di “cristiani” fu quindi un appellativo non molto cortese per classificare i discepoli di Yasuhùa.

Che così sia avvenuto è testimoniato anche da Tacito, che sotto l’imperatore Traiano (117-138 E. V.) scrisse: “Nerone senza strepito sottopose a processo e a pene straordinarie, perché invisi per i loro misfatti, [coloro che il volgo chiamava cristiani]. Il loro nome viene da Cristo, condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato sotto il regno di Tiberio”. - Tacito, Annales 15,44; corsivo e grassetto aggiunti per enfasi.
Sbaglia quindi la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture quando traduce il passo così: “Fu ad Antiochia che per la prima volta i discepoli furono per divina provvidenza chiamati cristiani”. I traduttori di questa versione commettono qui almeno tre errori. Il più grave è quello di aggiungere una frase che non compare assolutamente nel testo greco: “per divina provvidenza”. Ecco il testo greco, traslitterato e tradotto letteralmente:
 
                                         χρηματίσαι      τε  πρώτως     ἐν  Ἀντιοχείᾳ    τοὺς μαθητὰς    Χριστιανούς
chrematìsai       te   pròtos     en Antiochèia    tus   mathetàs      christianos
stati chiamati     e  per prima    in  Antiochia       i     discepoli        cristiani

“Per divina provvidenza” non compare affatto nel testo originale: è stato arbitrariamente aggiunto. E, come secondo errore, non è stato neppure posto tra parentesi quadre per indicare che è statoaggiunto dai traduttori. Ilterzoerrore è la conseguenza di questa manomissione: falsare il vero significato del testo.
Se poi i traduttori hanno pensato di tradurre quelcrhmat…sai (chrematìsai) col significato di “essere chiamati per divina provvidenza”, commettono un altro grave errore. Il verbo greco, infatti, èχρηματίζω(chrematìzo) e significa: “trattare, dare un nome”.
Pare ovvio che in quel territorio pagano i detrattori dei discepoli di Yahshua trovarono un nome (cristiani) per identificarli nel loro parlare comune, per trattarli (come significa il verbo greco) in un certo modo. Il loro intento dovette essere simile a quello che mosse coloro che diedero il nome di “negri” alle persone di razza nera.

Comunque, quel termine di “cristiani” non fu mai usato dai discepoli stessi. Lo stesso Luca, subito dopo aver riferito che tale nome fu dato loro ad Antiochia, riprende a chiamare i credenti con il solito nome: “discepoli” (At 11:29). Se fu “per divina provvidenza”, come mai Luca non si adeguò? E come mai non si adeguò mai nessuno dei credenti?

Illuminante anche il passo di At 12:1 che parla di “quelli della congregazione” (TNM): così Luca definisce i credenti pochissimi versetti dopo aver riferito che gli antiochieni diedero ai discepoli l’appellativo di “cristiani”. Luca davvero non adotta nè fa suo quel nome.
A ulteriore conferma che l’appellativo di “cristiano” era un soprannome dispregiativo dato dal popolino, abbiamo le parole scritte nel 116 o 117 da uno storico che, descrivendo i discepoli di Yahshua, scrive: “Coloro che il volgo chiamava cristiani” (Tacito, Annales 15,44; corsivo aggiunto per dare enfasi). Le cattive intenzioni del volgo, ovviamente, hanno ben poco o nulla a che fare con la “divina provvidenza”.

   2. La seconda volta che il nome “cristiano” appare nella Scrittura è in At 26:28. Sono passati circa quattordici anni da quell’avvenimento di Antiochia: siamo nel 58 circa della nostra era, venticinque anni dopo la morte di Yahshua. L’apostolo Paolo si trova a Cesarea, prigioniero davanti al re Erode Agrippa, e ha appena terminato di dare la sua testimonianza di fede. “Ma Agrippa disse a Paolo: ‘In breve tempo mi persuaderesti a divenire cristiano’” (TNM). Notiamo subito che ad usare questo termine di “cristiano” è, ancora una volta, qualcuno che non è un discepolo di Yahushua. Evidentemente, quel modo di chiamare i discepoli, iniziato ad Antiochia, era diventato un modo comune di riferirsi a loro da parte della gente (al di fuori della congregazione). Ora lo usa perfino il re Agrippa. È però molto interessante notare come si comporta Paolo. “Allora Paolo disse: ‘Desidererei dinanzi a Eloah che in breve tempo o in lungo tempo non solo tu ma anche tutti quelli che oggi mi odono divenissero tali quale sono io" TNM). Qui Paolo dà prova di grande abilità e di tatto. Non si ferma a cogliere l’ironia di Agrippa né la contesta, ma – desideroso di continuare la sua testimonianza – schiva elegantemente quell’appellativo di “cristiano” e nella sua risposta lo sostituisce con un “quale sono io”. 

   3. La terza e ultima volta in cui il termine appare nella Bibbia si trova in 1Pt 4:16. Questa volta è l’apostolo Pietro ad usarlo. Sarà interessante esaminare come egli lo usa. Intanto osserviamo che ci troviamo all’incirca nel 62-64 della nostra era, quasi trent’anni dopo la morte di Yahushua. Il termine doveva essere ormai molto comune tra le persone estranee alla comunità dei discepoli.
Ed ecco ciò che scrive Pietro: “Ma se [soffre] come cristiano, non provi vergogna” (TNM). Pietro usa dunque il termine. Esaminiamo il contesto e scopriamone il perché.
Il capitolo 4 della sua prima lettera inizia con l’esortazione fatta ai credenti ad ‘armarsi della stessa disposizione mentale’ di Yahushua: accettare la sofferenza, “siccome Yahushua soffrì nella carne” (v. 1, TNM). Pietro poi rammenta loro che i peccati e le ingiustizie da loro commessi prima di diventare fedeli appartengono al tempo passato (v. 3); ora sono persone diverse, per questo i non credenti “parlano ingiuriosamente” di loro (v. 4, TNM). Passa poi a dare consigli sulla buona condotta (vv. 7-11). Dal v. 12 li esorta a non rattristarsi per quello che subiscono, ma – al contrario – a ‘rallegrarsi , visto che sono’ “partecipi delle sofferenze del Messyah” (v. 13, TNM). Poi arriva al punto: “Se siete biasimati per il nome di Yahushua, felici voi” (v. 14, TNM). Quindi distingue: “Comunque, nessuno di voi soffra come assassino o ladro o malfattore o come uno che si intromette nelle cose altrui. Ma se [soffre] come cristiano, non provi vergogna” (vv. 15,16, TNM).
In pratica Pietro dice: Yahshua ha sofferto, anche i suoi discepoli soffrono; ma attenzione: se uno soffre perché è omicida o ladro, si deve solo vergognare; ma se soffre “come cristiano” per le vituperazioni non ha motivo di vergognarsi, perché essere biasimati “per il nome del Messyah” è motivo di gioia. Anche se i non credenti “parlano ingiuriosamente” e i discepoli sono “biasimati" e tacciati col nomignolo di “cristiani” (nell’intento di attribuire loro chissà quale colpa) non è motivo di vergogna; lo sarebbe essere tacciati, a ragione, di omicidio o furto.

In tutte le Scritture Greche i credenti in Yahshua sono sempre chiamati “discepoli”, anche dopo che fu affibbiato loro l’appellativo di “cristiani”. Essi non usarono mai tra loro il termine di “cristiani”, ma lo subirono.



12 gennaio 2021

LA FALSA DOTTRINA CATTOLICA SU PIETRO

 

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PREMESSA


Questo post è redatto allo scopo di far USCIRE da Babilonia la Grande - la Madre delle Meretrici - TUTTE le persone di buona volontà che hanno a cuore la Pura Verità, affinchè non ricevano le stesse punizoni che la Grande Meretrice riceverà tra breve in Giudizio.

E' scritto: 
"Uscite da essa popolo mio, 
affinchè non riceviate anche voi il suo castigo..".(Ap. 18:4).



Il versetto biblico di Matteo 16:18, nella versione cattolica Edizioni Paoline 1995 e nella Nuova Riveduta 1994, è tradotto rispettivamente come segue:

Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Edizioni Paoline 1995)


E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte del soggiorno dei morti non la potranno vincere” (Nuova Riveduta 1994).

 
Questo stesso versetto viene tradotto più "correttamente" da numerose altre versioni, fra le quali quelle che seguono:


“Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro, e sopra questa roccia io edificherò la mia chiesa e le porte dell’inferno non la potranno vincere” (La Nuova Diodati 1991)

Y yo también te digo que tú eres Pedro, y sobre esta roca edificaré mi iglesia, y las puertas del Hades no la dominarán” (Spanish Reina-Valera 1995)

Et moi, je te dis que tu es Pierre, et que sur ce roc je bâtirai mon Église, et que les portes du éjour des morts ne prévaudront point contre elle” (Nouvelle Edition Geneve 1979)


La traduzione letterale del testo greco originale di Matteo 16:18 recita come segue:

E io, dunque, ti dico che tu sei un sasso (greco: pétros), e sopra questa roccia (greco: pétra) io edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ades non la vinceranno”.

A Simone figlio di Giovanni (l’apostolo chiamato “Pietro”), Yahushua aveva detto: "Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa che vuol dire: "sasso” (Giovanni 1:42) (Versione La Nuova Diodati 1991). 

Altri traducono questo stesso versetto in modo improprio: 

“Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; e tu sarai chiamato Cefa (che si traduce «Pietro»)” (Giovanni 1:42) (Versione La Nuova Riveduta 1994; ma vedasi anche la Versione cattolica Edizioni Paoline 1995).

L’inesattezza di quest’ultima traduzione sta nel fatto che, in greco (lingua originale della Settanta Greca del Vangelo), il nuovo nome dato da Gesù all’apostolo Simone, cioè "pétros", ha il significato di “sasso, ciottolo, pezzo di roccia, pietra”: è cioè il nome di una cosa e non un nome di persona, e rappresenta la traduzione in greco della parola [aramaica] "Cefa" usata da Yahushua per designare Simone. Il nome taliano “Pietro”, l’inglese “Peter”, lo spagnolo “Pedro”, e altre traduzioni similari del termine greco "pétros".. non hanno alcun significato e sono totalmente inutili.

Simone è pétros [cioè un sasso]; Yahushua il Messyah è invece la pétra [cioè la roccia] su cui è edificata la Sua "Ha'Qahal" (comunità di persone, congregazione di persone, e NON UN EDIFICIO - ndr): “E io, dunque, ti dico che tu sei un sasso [greco: pétros], e sopra questa roccia greco: [pétra] io edificherò la Mia Qahal” (Matteo 16:18).
Ecco esemplificata figurativamente l’enorme differenza che intercorre fra i due vocaboli greci "pétros" (riferito a Simone) e "pétra" (riferito a Yahushua):




petra roccia gesù


Che Yahushua il Messyah sia la pétra (cioè la roccia) è attestato anche dall’apostolo Paolo, allorché afferma: “e tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, perché bevevano dalla roccia [greco: pétra] spirituale che li seguiva; e quella roccia [greco: pétraè il Kristos”. (1 Corinti 10:4).

In questo versetto (1 Corinti 10:4), il vocabolo greco "pétra" che vi compare per ben due volte è tradotto univocamente ed esattamente da tutte le versioni della Bibbia (compresa quella cattolica - ndr) con il termine corrispondente roccia.

Allora, ci si domanda: per quale ragione in Matteo 16:18 il vocabolo greco "pétra" non è stato reso dai Traduttori della Nuova Riveduta con il termine corrispondente "roccia", come è stato fatto invece nel caso di 1 Corinti 10:4, Matteo 7:24-25, Matteo 27:60, Marco 15:46, Luca 6:48, Luca 8:6, Luca 8:13, dove compare sempre il medesimo vocabolo greco "pétra" tradotto immancabilmente e correttamente con il termine "ROCCIA"..??

Ecco, dunque, la traduzione corretta di Matteo 16:18:

E io, dunque, ti dico che tu sei un sasso (pétros), 
e sopra questa roccia (pétra) io edificherò la mia ekklesia (ebraico: Ha'Qahal)”.

Una traduzione impropria come la seguente: “tu sei Pietro e su questa pietra”, giova sicuramente al cattolicesimo romano che, infatti, si guarda e si guarderà sempre bene dall’emendarla. Questa è una falsa dottrina e una menzogna antiscritturale.
Di sicuro non giova alla Verità del Vero messaggio del figlio dell'uomo.. Yahushua il Messyah del Vero Eloah.